PROCESSO A GUARINO QUARTA (RISORGIMENTO VEGLIESE #1)
di Antonio De Benedittis
Il 10 febbraio 1848 Ferdinando II di Borbone, re del regno delle Due Sicilie, al fine di togliere motivazioni agli indipendentisti siciliani, in rivolta dal 1847, e per corrispondere alle pressanti istanze dei liberali napoletani, promulgò ed approvò il nuovo Statuto Costituzionale.
In tutto il Regno si ebbero entusiastiche manifestazioni di esultanza con fiaccolate, suoni di bande musicali e grida “Viva lo Statuto”, “Viva Re Ferdinando”; su tutte le piazze fu eretto l’Albero della Libertà e furono accesi fuochi d’artificio; in tutte le chiese fu cantato il Te Deum di ringraziamento. A Veglie molte fucilate furono sparate nella pubblica piazza.
Il 18 aprile successivo si svolsero le elezioni del Parlamento, ma il 15 maggio 1848, a Napoli, in coincidenza con l’apertura dei lavori parlamentari, una parte di deputati attuarono un tentativo di rovesciare la monarchia. Utilizzando agenti provocatori e facinorosi, vennero erette barricate nelle strade e ci furono scontri con molte vittime. Dei fatti di Napoli comunque ne approfittò il re, (che sia era già pentito della concessione fatta,) per sospendere lo Statuto Costituzionale e tornare ai metodi polizieschi e repressivi; qualsiasi riunione di persone veniva definita illecita e criminosa avente il fine di rovesciare il governo; enorme fu la delusione dei cittadini e la rabbia si diffuse in tutto il regno.
In questo clima si colloca la vicenda di Guarino Quarta (Veglie 1779, ivi 1865), facoltoso proprietario vegliese il quale deluso, disgustato e irritato per il voltafaccia del re, si reca nella cancelleria comunale, fa scendere i mezzi busti in gesso dei sovrani che erano collocati sopra un armadio e li rompe entrambi a colpi di bastone.
Il sindaco Alessandro Quarta, figlio di Guarino, e il cancelliere comunale Ulisse Demitry, che assistette all’infrangimento dei mezzi busti, cercano in tutti i modi di tenere nascosto il fatto ma dopo pochi giorni, avendo dato incarico all’inserviente comunale di buttare i cocci in una niviera, la notizia si sparge immediatamente per tutto Veglie e si propaga per l’intera Terra d’Otranto arricchita anche di particolari fantasiosi, infatti molti affermavano che i mezzi busti fossero stati infranti nella pubblica piazza a colpi di archibugio, ma questo particolare non rispondeva al vero.
Con questa pesante accusa Guarino Quarta viene rinviato a giudizio.
Tre anni di indagini, sei istruzioni da parte dei giudici di Salice, Lecce, Brindisi e dello stesso presidente della Gran corte speciale criminale di Lecce, due processi e quindici mesi di carcere sofferti dal Quarta nel carcere di San Francesco di Lecce, non furono sufficienti a farlo condannare definitivamente dalla Gran corte criminale speciale di Terra d’Otranto non potendo fare altro che ordinare la conservazione degli atti in archivio fino a nuovi lumi sul conto di Guarino Quarta; certamente i giudici per poter emettere questa decisione, molto sofferta, avranno tenuto in debito conto l’ambiguo e contraddittorio comportamento dei principali accusatori del Quarta in primis perché ad ogni accusa facevano seguire una smentita e poi perché era abbastanza notorio, che il loro accanimento contro i Quarta era dovuto a risentimenti di carattere esclusivamente personale.
Rientrato a Veglie Guarino Quarta viene tenuto costantemente sotto sorveglianza coercitiva da parte della polizia borbonica che continuava a ritenerlo un attendibile politico di prima classe, ma questo disagio non durerà ancora per molto, siamo ormai nel 1859 e la stella dei Borboni è sulla via del tramonto.
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